Museo/Monumento

La Cattedrale

Descrizione
Posta sul lato settentrionale dell'ampia e magnifica piazza che fin dai documenti del XVII secolo ( ma probabilmente assai prima ) si è sempre chiamata "il Campo", denominazione finalmente restituitale con la nuova toponomastica varata dall'Amministrazione del Sindaco Cortese, è l'attuale Chiesa Metropolitana. E' certo che essa fu eretta dall'arcivescovo Ruggero di Stefanuzia fra il 1274 ed il 1295. Essa ha subito fino ad oggi continue trasformazioni ma, dice Orsi, "nei particolari più che nelle linee fondamentali che sono quelle di una basilica latina con cupola". Le più notevoli di queste modifiche furono apportate dagli arcivescovi Pisani, Berlingieri, Ganini e Pujia come risulta dalle diverse epigrafi legibili in diversi punti. Della vecchia costruzione dello Stefanuzia rimane l'antico portale. Il resto dell'intera facciata è stato completamente rifatto dal Berlingieri nel 1705, come documenta la lunga epigrafe posta in alto. Nel primo decennio del secolo scorso, ci informa Orsi, l'arcivescovo Carmelo Pujia, avvalendosi dell'opera dell'architetto G.Pisanti e del pittore Cosma Sampietro, trasformò "la vecchia chiesa in una sfarzosa basilica romana rilucente di oro e di colori". Tali lavori, che l'Orsi dice essere avvenuti in gran parte senza concorso dello Stato ed all'insaputa della soprintendenza dei monumenti di Napoli, costarono all'arcivescovo Pujia la ragguardevole somma di 167.000 lire (per fare un raffronto ricordiamo che il Castello, negli stessi anni, fu aggiudicato all'asta al Comune per 17.000 lire). Nell'interno, è degno di attenzione l'ambone in marmi calabresi dei tempi dell'arcivescovo Caffarelli (1624-1651) con una tavoletta centrale marmorea raffigurante Gesù fra i Dottori che l'Orsi, data la bontà del disegno, vorrebbe riportare al Cinquecento. Nella prima navata di destra, recentemente restaurato, si osserva un magnifico crocefisso in legno che mons. Pujia considerava l'ultima reliquia dell'epoca bizantina, ma molti cultori d'arte, tra cui Vittorio Sgarbi che ha avuto modo di ammirarlo, ritengono essere una bella e nobile opera del 1400. Nella stessa cappella del Crocefisso sono murate quattro lapidi, che il benemerito arcivescovo Pujia fece sistemare rimuovendole dal muro nord della chiesa dell'Addolorata, dove erano in via di avanzato degrado. Notevole è l'importanza che tali documenti rivestono per la ricostruzione della nostra storia religiosa e civile. Abbiamo già accennato, scrivendo delle nostre origini, che nella prima di esse si fa riferimento ai duoviri Marius e Lurius, che avevano costruito un muro, un arco ed una piazza e se ne deduceva che la nostra città nell'ultimo periodo della Repubblica o all'inizio dell'Impero fosse retta con magistrature romane. Nella seconda lapide, datata 1036 secondo la lettura pressochè unanime, dopo l'invocazione alla divina Trinità, la scritta ivi apposta commemora la fondazione della chiesa (l'Addolorata) al tempo dell'arcivescovo Ambrogio, quinto presule in ordine di tempo a reggere la diocesi. Nella terza, di poco posteriore alla precedente, il devoto Staurakios, comandante di primo rango della locale guarnigione militare, chiede la divina assistenza affidandosi all'intercessione della Madre di Dio, dell'apostolo Andrea e della Santa Severina che dette il nome alla città. La quarta, infine, contiene una preghiera dello stesso arcivescovo Ambrogio, ed è quindi di epoca di poco posteriore alla seconda già citata della quale riprende il preambolo. All'inizio della navata di sinistra è interessante l'affresco raffigurante S.Francesco di Paola con la Madonna ed un Personaggio che qualche studioso come il prof. Burgarella crede di individuare in papa Zaccaria, ma che molti altri identificano con Gioacchino da Fiore. Molto bello e prezioso è l'altare maggiore fatto costruire in marmi calabresi dall'arcivescovo Berlingieri e completamente rifatto dall'arcivescovo Ganini "Al VI idus Iunii anno a Virginis partu- MDCCLXVI", come è scritto nella lapide posta sul retro. Dietro all'altare, notevole il mobile in noce del coro del 1700. Gli ultimi, recenti restauri sono stati apportati alla grande cupola colpita da un fulmine ed al tetto. Nell'interno sono state ritinteggiate le colonne e, soprattutto, è stato riportato all'antico splendore il soffitto a cassettoni lignei intarsiati. Chiudiamo queste note sulla Cattedrale citando un brano dell'Apprezzo, che riporteremo integralmente nell'Appendice, nel quale così veniva descritto il clero in Santa Severina alla fine del XVII secolo: "In quanto allo spirituale si governa la Chiesa dell'Arcivescovo da diciotto canonici, sei Dignità, quattordici preti semplici, un subdiacono, uno diacono e venti chierici". Oggi il clero di Santa Severina è rappresentato solo dal Parroco, ove si eccettuino le celebrazioni, nelle festività più importanti, dell'attuale arcivescovo Andrea Muggione, residente a Crotone. Non ci resta che osservare: "sic transit gloria mundi".Posta sul lato settentrionale dell'ampia e magnifica piazza che fin dai documenti del XVII secolo ( ma probabilmente assai prima ) si è sempre chiamata "il Campo", denominazione finalmente restituitale con la nuova toponomastica varata dall'Amministrazione del Sindaco Cortese, è l'attuale Chiesa Metropolitana. E' certo che essa fu eretta dall'arcivescovo Ruggero di Stefanuzia fra il 1274 ed il 1295. Essa ha subito fino ad oggi continue trasformazioni ma, dice Orsi, "nei particolari più che nelle linee fondamentali che sono quelle di una basilica latina con cupola". Le più notevoli di queste modifiche furono apportate dagli arcivescovi Pisani, Berlingieri, Ganini e Pujia come risulta dalle diverse epigrafi legibili in diversi punti. Della vecchia costruzione dello Stefanuzia rimane l'antico portale. Il resto dell'intera facciata è stato completamente rifatto dal Berlingieri nel 1705, come documenta la lunga epigrafe posta in alto. Nel primo decennio del secolo scorso, ci informa Orsi, l'arcivescovo Carmelo Pujia, avvalendosi dell'opera dell'architetto G.Pisanti e del pittore Cosma Sampietro, trasformò "la vecchia chiesa in una sfarzosa basilica romana rilucente di oro e di colori". Tali lavori, che l'Orsi dice essere avvenuti in gran parte senza concorso dello Stato ed all'insaputa della soprintendenza dei monumenti di Napoli, costarono all'arcivescovo Pujia la ragguardevole somma di 167.000 lire (per fare un raffronto ricordiamo che il Castello, negli stessi anni, fu aggiudicato all'asta al Comune per 17.000 lire). Nell'interno, è degno di attenzione l'ambone in marmi calabresi dei tempi dell'arcivescovo Caffarelli (1624-1651) con una tavoletta centrale marmorea raffigurante Gesù fra i Dottori che l'Orsi, data la bontà del disegno, vorrebbe riportare al Cinquecento. Nella prima navata di destra, recentemente restaurato, si osserva un magnifico crocefisso in legno che mons. Pujia considerava l'ultima reliquia dell'epoca bizantina, ma molti cultori d'arte, tra cui Vittorio Sgarbi che ha avuto modo di ammirarlo, ritengono essere una bella e nobile opera del 1400. Nella stessa cappella del Crocefisso sono murate quattro lapidi, che il benemerito arcivescovo Pujia fece sistemare rimuovendole dal muro nord della chiesa dell'Addolorata, dove erano in via di avanzato degrado. Notevole è l'importanza che tali documenti rivestono per la ricostruzione della nostra storia religiosa e civile. Abbiamo già accennato, scrivendo delle nostre origini, che nella prima di esse si fa riferimento ai duoviri Marius e Lurius, che avevano costruito un muro, un arco ed una piazza e se ne deduceva che la nostra città nell'ultimo periodo della Repubblica o all'inizio dell'Impero fosse retta con magistrature romane. Nella seconda lapide, datata 1036 secondo la lettura pressochè unanime, dopo l'invocazione alla divina Trinità, la scritta ivi apposta commemora la fondazione della chiesa (l'Addolorata) al tempo dell'arcivescovo Ambrogio, quinto presule in ordine di tempo a reggere la diocesi. Nella terza, di poco posteriore alla precedente, il devoto Staurakios, comandante di primo rango della locale guarnigione militare, chiede la divina assistenza affidandosi all'intercessione della Madre di Dio, dell'apostolo Andrea e della Santa Severina che dette il nome alla città. La quarta, infine, contiene una preghiera dello stesso arcivescovo Ambrogio, ed è quindi di epoca di poco posteriore alla seconda già citata della quale riprende il preambolo. All'inizio della navata di sinistra è interessante l'affresco raffigurante S.Francesco di Paola con la Madonna ed un Personaggio che qualche studioso come il prof. Burgarella crede di individuare in papa Zaccaria, ma che molti altri identificano con Gioacchino da Fiore. Molto bello e prezioso è l'altare maggiore fatto costruire in marmi calabresi dall'arcivescovo Berlingieri e completamente rifatto dall'arcivescovo Ganini "Al VI idus Iunii anno a Virginis partu- MDCCLXVI", come è scritto nella lapide posta sul retro. Dietro all'altare, notevole il mobile in noce del coro del 1700. Gli ultimi, recenti restauri sono stati apportati alla grande cupola colpita da un fulmine ed al tetto. Nell'interno sono state ritinteggiate le colonne e, soprattutto, è stato riportato all'antico splendore il soffitto a cassettoni lignei intarsiati. Chiudiamo queste note sulla Cattedrale citando un brano dell'Apprezzo, che riporteremo integralmente nell'Appendice, nel quale così veniva descritto il clero in Santa Severina alla fine del XVII secolo: "In quanto allo spirituale si governa la Chiesa dell'Arcivescovo da diciotto canonici, sei Dignità, quattordici preti semplici, un subdiacono, uno diacono e venti chierici". Oggi il clero di Santa Severina è rappresentato solo dal Parroco, ove si eccettuino le celebrazioni, nelle festività più importanti, dell'attuale arcivescovo Andrea Muggione, residente a Crotone. Non ci resta che osservare: "sic transit gloria mundi". Testi: dott. Francesco De Luca
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