Museo/Monumento

Il Castello Normanno

Descrizione
"Santa Severina è ora superba di un vecchio castello, coperto di edera verdeggiante e di vergognosa parietaria… Sotto quelle mura, narra la storia, rintuzzò e infranse l'orgoglio di invitte schiere, che, gloriose erano passate attraverso l'Italia. Roberto il Guiscardo l'assediò invano… fu vinta solo dal tradimento di un Ruggiero, ma il castello ebbe fama di inespugnabile. Ora l'ala distruttrice del tempo è passata irriverente anche sul forte maniero: per gli antri oscuri, per gli umidi e neri sotterranei, gelida…si aggira la solitudine; e sulle rocche, sulle torri, sui baluardi, sui merli, che ancora sfidano la furia della tempesta, fin giù sui barbacani, che, curvi sostengono la immane mole, crescono i licheni e s'intrecciano i rovi, su' quali, a frotte, si posano le cornacchie, che nidificano tra i crepacci e nei buchi di quelle mura vetuste, donde, a primavera, parte e si sente da lontano, mesto, il lamento del passero solitario. Dalla costa dirupata anche ora il castello medioevale lancia le sue torri in alto, e domina la cittadina ed i colli circostanti; e, quando in questo secolo per ben due volte il terremoto distrusse paesi e città e Santa Severina fu grandemente danneggiata, il vasto edificio e le sue antiche fortificazioni non ebbero a soffrire che una lieve fessura che ancora si vede." Questa pittoresca pagina del De Giacomo, che scriveva alla fine del XIX secolo, ci offre una descrizione del degrado in cui versava il castello in quel periodo prima dell'acquisto, nel 1905, da parte del Comune. Sulle vicende del monumento dopo l'abbandono dei Grutther, conseguente alla legge napoleonica che decretava la fine del regime feudale, c'è un buco nero di un secolo che solo la conoscenza e lo studio dei documenti dell'archivio comunale, purtroppo ancora da riordinare e catalogare, potranno chiarire. Abbiamo accennato al fatto che dagli inizi degli anni '30 il castello ospitò il Ginnasio-Convitto e che fu grande il merito di quei dirigenti che salvarono il monumento da ulteriore degrado in modo da consegnarlo ai restauratori in buono stato di conservazione. I lavori iniziati nel 1991, sono culminati nella cerimonia di riconsegna tenutasi il 23 maggio 1998. Sette anni che hanno visto all'opera numerosi e qualificati tecnici delle due Soprintendenze (quella Archeologica e quella per i Beni Culturali) che, confrontandosi e qualche volta scontrandosi, hanno condotto a termine il restauro nel migliore dei modi. Era auspicabile che, al termine delle complesse operazioni che hanno riportato il castello all'antico splendore, si producesse uno studio che, ripercorrendo le varie fasi del restauro, ci disvelasse finalmente i punti oscuri che avevano impedito una lettura completa e scientificamente valida dell'intera struttura. La stampa dell'opera in due volumi, uno a cura della sezione archeologica e l'altro della sezione dei beni culturali, segna un punto fisso e qualificato per chi voglia approfondire lo studio del castello. Riteniamo, di conseguenza, che l'addentrarci in una complessa descrizione dei piedritti, delle bertesche, delle troniere, dei beccatelli,dei rivellini, ecc. o riportare le complesse fasi e procedure del restauro, potrebbe interessare un ristrettissimo numero di lettori che, per i loro approfondimenti, dispongomo di strumenti ben più validi, costituiti dalle opere già citate. A noi interessa spremere da quegli studi il succo: i tratti essenziali delle diverse fasi architettoniche che hanno riguardato il castello, per verificare la coincidenza di esse con il divenire storico ed artistico della nostra città. I numerosi studiosi che nel passato si erano interessati a questo monumento avevano ipotizzata, pur senza averne alcuna prova documentale, la preesistenza, come primo insediamento, di un castello bizantino. Noi scrivevamo nel 1986: "Se ne attribuisce la fondazione a Roberto il Guiscardo ma tutti concordano sulla preesistenza di un'antica arce bizantina prima, durante e dopo l'occupazione araba." Alla luce di quanto è emerso dagli scavi, possiamo oggi concordare con Lopetrone che, prima ancora che diventasse l'arce bizantina, "doveva esservi sul sito l'acropoli della città, circondata da muraglie di sbarramento, riservata agli eletti e, all'accorrenza, usata anche da altre genti che popolavano tutto l'acrocoro, dimorando in case di murature (ceto agiato) ed in ampli grottoni artificiali, capanni ed altri tuguri, scavati e/o parzialmente murati (plebe)". Nel II volume dell'opera sul Castello dianzi citata, a cura della sezione di Archeologia, si legge: "Gli scavi hanno accertato sporadiche presenze riferibili all'età greca e brettia (IV-III sec. a. C.)" e, più oltre: "La prima importante scoperta effettuata nel corso degli scavi è stata quella di rintracciare dalla parte dell'area esterna dell'ex Cinema (area D) tracce della presenza degli Arabi.". Possiamo quindi ipotizzare con ragionevole approssimazione che l'acrocoro su cui sorse poi il castello, ospitò nell'epoca di Siberene-Severiana i primi nuclei di quelle antiche popolazioni che scelsero quella rocca come loro primo insediamento, dal quale dominavano le vallate circostanti. E' scontato che gli Arabi durante la loro dominazione (840-885/86) fecero di questa arce la base del loro comando militare ed amministrativo. Con la riconquista di Santa Severina da parte di Niceforo Foca il sito riprende vita e diventa un Kastron, con strutture militari ed un complesso di edifici religiosi. Gli scavi hanno evidenziato, e sono visibili nella parete esterna del Museo sulla sinistra di chi entra nel castello, la base affrescata di un primo edificio ecclesiale.Sulla destra di chi entra nell'atrio a botte del mastio sono affiorati, come rileva il Cuteri, altri muri affrescati di un ambiente la cui pianta di metri 5 x 10 si colloca di fronte alla necropoli, quasi certamente coeva , scoperta anch'essa dagli scavi e visibile nell'mbiente di sinistra per chi entra nel detto atrio. Lo studio del Cuteri lascia irrisolto il problema della datazione di quel sito per cui rimane senza una risposta definitiva la domanda: il Kastron, del quale emergono elementi significativi, è sorto prima o dopo l'occupazione araba? Non si riesce a far luce analizzando la croce reliquario proveniente dall'area della necropoli perché essa viene assegnata dal Cuteri all'VIII-IX secolo e quindi, teoricamente, il reperto può anche essere datato al periodo immediatamente successivo alla scacciata degli arabi. Cuteri colloca le costruzioni di questi edifici bizantini alla fine del IX secolo, quando, con la nascita della metropolia, "La notevole diffusione dei culti si riflette anche nella costruzione di numerosi e più modesti edifici, siano essi chiese o monasteri". Trovano comunque pieno conforto tutte le precedenti ipotesi sull'esistenza di un'arce bizantina che precedette l'occupazione normanna. Abbiamo visto, nella parte storica di questo lavoro, che dal Malaterra al Chandelon, al Pontieri ed a tutti quelli che hanno scritto dell'occupazione di Santa Severina da parte di Abelardo prima e di Roberto e Ruggero d'Altavilla dopo, è ben documentata la presenza normanna nella nostra città e quindi il loro insediamento nel punto strategico di essa costituito dal castello. " Le evidenze relative a tutto il periodo normanno sono venute alla luce in due settori di scavo : il primo sottostante l'area dell'attuale mastio, il secondo situato all'esterno del fossato sud, nel settore della fortezza cinquecentesca contenente la scuderia e la cappella." Aggiunge, al riguardo, Marilisa Morrone: "I maggiori dati stratigrafici provengono proprio dagli strati di distruzione del precedente abitato e del complesso chiesa-necropoli situati al centro di essi." E' in quest'area che i Normanni costruirono il torrione centrale del sistema difensivo con una base muraria dello spessore di circa tre metri che in parte è stata messa in luce. Altri importanti brandelli murari sono emersi nel sottosuolo dell'ex scuderia e nell'area antistante ad essa dove è stata evidenziata la struttura di un ambiente, forse rimasto incompiuto, che dovette servire da officina per la fusione di una campana. In questa zona è stato rinvenuto un tarì aureo di Roberto il Guiscardo esposto nel Museo del castello. I passaggi successivi, nell'evoluzione architettonica del complesso castellense, per come risultano dall'indagine scientifica sulle strutture, hanno evidenziato la presenza di costruzioni sveve così descritte da Pasquale Lopetrone: "Le reliquie della torre tonda antica, quella della torre tagliata, quella della torre dell'antica chiocciola e quelle relative alle merlature quadrangolari, afferenti alla terza fase, con molta probabilità risalgono all'ultimo periodo della dominazione sveva." Dall'analisi successiva di Lopetrone risulta che " Non vi è alcun dubbio che i nuovi torrioni cilindrici posti agli angoli salienti del mastio risalgono al periodo angioino ai cui regnanti va riconosciuto il potenziamento…" Questi risultati devono essere considerati assolutamente rivoluzionari, se raffrontati a tutte le precedenti ipotesi che si sono succedute nel corso di quasi mezzo millennio. Le nostre perplessità, in merito alla esistenza a Santa Severina di un "Maschio Angioino", ipotesi emergente dallo studio di Lopetrone e degli altri esperti che mostrano di averne condivisa la diagnosi, non mirano, né possono, per l'assoluta nostra incapacità di misurarci con una materia estranea alla nostra preparazione specifica, ad infirmare minimamente i risultati di quelle indagini. Noi diciamo solo che la storiografia di tanti secoli aveva inequivocabilmente assegnata l'intera ristrutturazione del castello ad Andrea Carafa. E' evidente che, alla luce dei risultati dei restauri bisognerà o azzerare tutte le precedenti letture della struttura del castello di Santa Severina o tentare di trovare una ricostruzione che concilii le nuove tesi con le precedenti ipotesi, insinuando, perlomeno, dei dubbi che andranno approfonditi con ulteriori studi. E i dubbi esistono per chi, come noi, cerca di trovare una rispondenza fra i risultati emersi e tutto ciò che scrissero e documentarono fino al 1998 studiosi impegnati e qualificati sul monumento che stiamo analizzando. Bernardo, dopo aver accennato ai grandi mezzi ed agli ottimi ingegneri di cui disponeva il Carafa, assegna a costui tutte le costruzioni difensive. Cita il documento del 1521 che descrive molte opere apportate al castro: muri, fossati, bastioni per bombarde ed altre armi di difesa :"In primis dicta civitas Sanctae Severinae cum eius castro et fortellinis, muro, fossatis, et vallatis cum bombardis et aliis munitionibus, variis atiglieriis et armis ad defensionem castri predicti necessariis". Il documento del 1623 è ancora più esplicito perché afferma che "quel castello fu fatto dall'Ill.mo Conte Carafa in tempi che fu luogotenente del Regno di Napoli". Muovendo da questi dati Bernardo svolge un lungo ragionamento ipotizzando che il mastio sia stato edificato dopo la costruzione di tutte quelle opere difensive, collocandone l'inizio della edificazione probabilmente "negli ultimi anni del pacifico governo di Andrea Carafa" ed attribuendone la conclusione al nipote Galeoto. La tesi del Bernardo viene perfettamente condivisa da Francesca Martorano, ricercatrice in Conservazione di beni architettonici e capo tecnico della Soprintendenza archeologica di Reggio Calabria. Ella scrive: "…Ciò ha fatto supporre che la sua costruzione (del mastio) sia più tarda, legata ad un periodo di pace e di benessere economico. I presupposti per l'edificazione del mastio ricorrono nel periodo di dominio di Galeotto Carafa, nipote di Andrea, che, come attesta un'iscrizione, fece costruire nel 1535 un belvedere fra i due bastioni del lato orientale. Il mastio aveva quindi una funzione residenziale che mantenne anche nei secoli successivi" . Risparmiamo al lettore il lungo elenco di storici e studiosi che hanno attribuito al Carafa la costruzione del castello: i loro pareri possono essere facilmente disattesi per la mancanza di scientificità e le loro troppo generiche e ripetitive affermazioni. Ma non possiamo non citare , per l'autorevolezza degli autori, quanto si legge nel volume di AA.VV. (Tutti docenti di Architettura nell'Università Di Reggio Calabria) "Per un Atlante della Calabria": "Il nucleo centrale è probabilmente normanno, eretto, forse sui resti di un castello bizantino. Il mastio quadrato con quattro torri cilindriche angolari è caratterizzato da cinture murali e baluardi a scaglioni, torrette speronate ed altre opere difensive realizzate durante l'ampliamento e la sistemazione militare di Andrea Carafa Conte di Santa Severina dal 1496. Né possiamo sottacere il giudizio di Mirella Mafrici, autrice di diecine di studi sui castelli e sulle fortificazioni del Meridione, che, al riguardo, scrive: "Al tempo del Carafa, luogotenente generale del regno durante l'assenza del vicerè don Carlo Lannoy, è databile la ricostruzione (su quello antico già edificato dai Normanni) del castello di S. Severina." I nostri dubbi si infittiscono se si considerano alcuni elementi che possono interessare chi ha in animo di approfondire il problema.Ci sembra, intanto, che non si possa prescindere dal fatto che il mastio venne edificato su precedenti e rozze costruzioni che gli svevo-angioini avevano impiantato al centro dell'intera struttura e le cui tracce sono inequivocabilmente emerse dai lavori di restauro. Se questo può e deve essere univocamente accettato, bisogna trovare un aggancio storico che giustifichi la costruzione-ristrutturazione dell'intero mastio ad opera degli Angioini. Ma a questo punto insorgono alcune considerazioni : Non esiste un solo documento che avvalori questa tesi. Bisogna tener conto dell'importanza dell'opera che presuppone un largo impiego di mezzi, una notevole durata per realizzarla e, conseguentemente, un forte e diretto interesse a dotare la struttura castellense di un impianto che doveva servire al committente ed ai suoi successori. Scrive Lopetrone: "Dall'ammodernamento-revisione globale, operato dagli Angioini, ne scaturì, dal vecchio castello di Santa Severina, una roccaforte di rara bellezza e sontuosità, con toni architettonici elevati alla pari delle più importanti roccaforti europee costruite in tale periodo". Lo stesso autore deve però ammettere che "In assenza di fonti documentarie certe, appare assai difficile stabilire il nome del committente o quello dell'architetto che insieme progettarono e fecero realizzare il magnifico edificio militare". Le notizie storicamente certe di cui disponiamo ci informano che, con diploma del 1266, Carlo I d'Angiò dispose che la città, con i suoi casali, venisse incorporata nelle terre del demanio, arrivando a precluderne ogni futura possibilità di infeudazione. Le successive assegnazioni in feudo a Pessino di Villary e la cessione di costui a Pietro Ruffo ci dicono che costoro, in effetti, non esercitarono mai l'effettivo possesso. E, d'altra parte, anche Carlo II aveva emesso un diploma che sottraeva al Ruffo ed al Villary il possesso del feudo, riconfermando Santa Severina città demaniale. In un editto del 1346 di Giovanna I la città figura ancora nell'elenco delle terre demaniali. Lopetrone, nella ricerca di un possibile committente, indica, nel suo secondo studio dopo il completamento dei restauri, in Nicolò Ruffo il solo che, per disponibilità di mezzi, avrebbe potuto realizzare un'opera tanto importante. Chi vuole rendersi conto dell'inattendibilità di tale attribuzione, legga il testo di Giuseppe Caridi che può definirsi la saga dei Ruffo, ripercorrendo l'autore le vicende dell'intera Casata ma, soprattutto lo studio di Vincenzo Ruffo sugli antenati Pietro e Nicolò. La loro vita e le loro opere sono narrate in centinaia di pagine e vengono utilizzate tutte le fonti storiche esistenti, compresi i ricchi archivi dei Ruffo. In tale trattazione non esiste un solo accenno che possa suffragare la tesi della edificazione di un'opera così complessa ed importante. I rinvenimenti numismatici, riferibili al periodo angioino nell'area della intera struttura castellense, ci dicono che "è assente completamente la monetazione angioina di Napoli". Anche nell'elenco da noi reso della collezione donata al Museo diocesano non v'è traccia, nell'intero comprensorio della nostra città, di monete angioine mentre abbondano quelle normanne e quelle sveve (come succede anche per i ritrovamenti nel castello). Questo è un fatto di grande importanza perché non si può pensare che di un'opera tanto significativa non ci sia pervenuto un solo reperto! Tutte le date graffite sui muri sia delle strutture esterne che nell'interno del mastio sono posteriori al 1500. Riteniamo l'argomento meritevole di riscontro e di approfondimento che, vagliando i vari elementi da noi resi e, ovviamente, gli studi che li precedono, giunga ad una conferma o alla confutazione di quanto è sostenuto dai restauratori del castello. E' opinione generale che furono i Grutther a trasformare il mastio, venute meno le necessità di difesa dalle incursioni dei pirati , in dimora signorile. Fino al '600 i feudatari non abitavano i castelli ma, quasi tutti dimoravano a Napoli presso la cui corte sperperavano le loro sostanze. Giorgio Leone, nel suo pregevole studio , ci invita a considerare che l'ammodernamento del mastio ebbe inizio con la Famiglia Sculco, basandosi su due ragioni che appaiono assolutamente plausibili: gli Sculco furono i primi feudatari a stabilire con la città un rapporto nuovo e più intenso come dimostra l'acquisizione di una cappella nella chiesa di S.Antonio che ospita la lapide tombale di Carlo Sculco; "La lettura dell'Apprezzo del 1687 è utilissima per cogliere gli aspetti più salienti di questa nuova definizione architettonica-abitativa che venne data al castello". Bisogna difatti tener presente che, all'epoca dell'Apprezzo, i Grutther non avevano ancora acquisito il feudo, che si aggiudicarono all'asta nel 1691. A loro, comunque, bisogna attribuire la sistemazione definitiva del piano nobile che oggi ammiriamo e che probabilmente fu utilizzato, almeno periodicamente, come residenza. Essi modificarono i vani, ricavandone sale e saloni che coprirono con volte a schifo che fecero decorare con raffigurazioni pittoriche riportate dai recenti restauri all'antico splendore, e con mobili di gran pregio dei quali purtroppo nulla è rimasto. Riteniamo, senza far torto ai lettori, di poterci risparmiare una descrizione particolareggiata dei diversi ambienti, sia perché essi sono stati egregiamente illustrati nei due volumi cui abbiamo fatto riferimento, editi dalla Rubbettino, sia perché in ogni stanza è posto un pannello descrittivo dell'ambiente. Questo vale anche per la sale museali che espongono reperti provenienti dal circondario (in massima parte da noi donati) e dagli scavi del castello. A destra di chi entra dall'ingresso principale si accede alle sale che ospitano il Centro Documentazioni Castelli e Fortificazioni della Calabria con numerosi pannelli esplicativi. L'intera struttura si sviluppa su di un'area di circa diecimila mq., ma la zona della "difesa merlata della ronda bassa", visibile per chi sale in paese sopra la strada a picco della scarpata, è rimasta purtroppo da ripulire e restaurare e del progetto che ne prevedeva la sistemazione più non si parla. Per avere un'idea del fascino che suscita il castello, basta riflettere sul dato, fornitoci dai giovani della Cooperativa Aristippo che ne curano la gestione, delle 50.000 presenze di turisti che annualmente lo visitano Scrivevamo in un nostro precedente lavoro: "Necropoli, affreschi di complessi ecclesiali, fornaci, camini, silos, cisterne, e monete ed utensili e terraglie e palle di bombarde e tutto quanto consentiva la vita nel Castello, la sua storia che è poi quella dell'intero paese nell'arco di tanti secoli, sono venuti alla luce per consentire, finalmente, una lettura aggiornata,anche se forse non definitiva, del Monumento restaurato in tutto il suo splendore". Testi dott. Francesco De Luca
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